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Robert De NiroC'era una volta in America... il timido Bob Milk75 anni, 17 Agosto 1943 (Leone), New York City (New York - USA) |
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![]() Ci sono tre modi di fare le cose. Giuste, sbagliate e come dico io.
dal film Casinò (1995)
Robert De Niro è Sam "Ace" Rothstein
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Trema Hollywood di fronte al suo nome. Nella sua lungimirante carriera è riuscito a mescolare l'action al dramma, la commedia all'horror, guadagnandosi la nomea di "tuttofare della recitazione". Ma non è stato sempre così, non è sempre stato potente, malvagio e deciso a eliminare la concorrenza quando si trattava di descrivere al meglio un ruolo, all'inizio era solo bello e promettente. Poi è diventato il maestro dell'autoanalisi, uno dei migliori interpreti del Metodo, che è entrato nel mondo dell'interpretazione per esorcizzare la timidezza di un'adolescenza che vedeva confuso il suo nome con quello di Bob Milk ("Bob Latte" per via della sua carnagione pallidissima). Ha indossato magistralmente i panni più sporchi e violenti che il cinema anni '70 e '80 potesse offrirgli. Ritratti cinici, machi e psicopatici. È con quelli che ha inanellato perfomances che sono state cesellate dentro veri e propri capisaldi della storia del cinema (la maggior parte firmati dall'amico Scorsese).
Gli inizi
Principe nell'azzeramento della propria identità al fine di costruirne altre, si è lasciato totalmente coinvolgere dai personaggi che ha incarnato: siano essi giovani e terrificanti mafiosi all'apice del potere o camaleontici pugili, o meglio ancora diavoli in carne e ossa, scatenando l'orrore dello spettatore per le sue inguardabili cicatrici neogotiche che dipingevano una Creatura senza padre. Poi sente il bisogno di narrare lui stesso una storia e si mette dietro la macchina da presa per raccontare quella Little Italy a cui è tanto affezionato, che gli ha fatto da casa e gli ha offerto terreno per le sue radici, o gli intrighi del potere della gente comune che non è più tanto comune. Misurato e discreto, è il simbolo di quell'interprete che è specchio fedele dell'uomo che cambia di generazione in generazione.
Figlio di due artisti di origini italo-americane (suo padre era pittore, scultore e poeta e sua madre pittrice), dopo la sua nascita, i suoi genitori divorziarono immediatamente, dato che suo padre era omosessuale. Cresciuto nella Little Italy, cominciò a pensare alla carriera di attore a soli 10 anni, quando (terribilmente timido) recitò in uno spettacolo scolastico la parte del Leone Codardo di "Il Mago di Oz" e lasciati gli studi liceali alla Rhodes Prep High School di New York (dove portò in scena "L'orso" di Checov), a soli 17 anni, Bobby Milk (così chiamato per via del suo fisico scheletrico e del suo pallore) si iscrisse direttamente alle lezioni di Stella Adler, entrando poi nell'Actor's Studio di Lee Strasberg.
Incredibile a pensarci, ma la carriera di Robert de Niro inizia con tutti i segni del destino che ne faranno un grande attore. Se la nascita di Gesù Cristo era stata preannunciata da una stella cometa che viaggiava sopra i cieli, la nascita dell'attore Robert De Niro è cosparsa di immense stelle luminose che lo guideranno, come registi, nel mondo della settima arte. Dopo tanta gavetta in teatri off-Broadway, pochi lo sanno, ma De Niro esordisce ufficialmente sotto la direzione nientemeno che di Marcel Carné in Tre camere a Manhattan (1965). Dopo Carné, segue un lungo e appassionato sodalizio artistico con un regista emergente - destinato a fare strada nel mondo del cinema - Brian De Palma, che allora muoveva i primi passi nella commedia firmando Oggi sposi... (1966), Ciao America (1968) e Hi, Mom! (1970), tutte pellicole che vedranno De Niro come protagonista. A tendergli la mano, sarà poi un'altra leggenda: il re dei b-movies della Hammer Roger Corman che lo affiancherà a un'incestuosa Shelley Winter nel coinvolgente Il clan dei Barker (1970).
Direzione Oscar!
Da Corman a Scorsese il passo è veramente breve. Nonostante i due fossero vicini di casa al Greenwich Village di Manhattan, servì un party nel 1972, per conoscerlo effettivamente. Da quel momento in poi, fu De Niro a diventare una stella. I primi passi in Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno (1973) di Scorsese gli fecero conoscere uno dei suoi migliori amici, Harvey Keitel, e notare da un altro regista italo-americano, Francis Ford Coppola che lo inserirà in Il padrino - Parte II (1974) nel ruolo di Vito Corleone da giovane. La sua performance è così ineccepibile che a soli 29 anni, già stringe nel pugno l'Oscar come miglior attore non protagonista.
Il ritorno fra le braccia di Scorsese è solo per creare capolavori. Primo fra tutti lo psicodramma Taxi Driver (1976). De Niro era impegnato in Italia nelle riprese di Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci (nel ruolo di un signorotto locale), ma accetterà ugualmente di girare il film con Scorsese, sottoponendosi a un autentico tour de force: lavorando sul set di Novecento dal lunedì al venerdì, poi volando in America per girare Taxi Driver. Perfezionista e maniacale sin da allora, si allenò per due settimane a guidare il taxi per le strade di New York. Nel film, infatti, guida realmente l'auto. Il ruolo del veterano del Vietnam Travis Bickle e quella frase maniacale e ossessiva di fronte allo specchio: «Ma dici a me? Ma dici a me? Ehi, con chi sta parlando? Dici a me?» lo imporrà all'attenzione del pubblico, facendogli guadagnare una nomination all'Oscar come miglior attore protagonista.
Dopo aver recitato per Elia Kazan in Gli ultimi fuochi (1976), entrando in contatto con tre leggende della cinematografia moderna (Robert Mitchum, Jeanne Moreau e Jack Nicholson) e dopo il lungo fidanzamento con l'attrice Leigh Taylor-Young, si sposa però con Diahnne Abbott, cantante e attrice anch'essa e madre dell'attore Raphael De Niro. L'attore adotterà anche la figlia della Abbott, nata da una precedente unione: Drena De Niro, modella e attrice. Il matrimonio si concluderà però nel 1988.
Al flop con Liza Minnelli New York New York (1977), segue il capolavoro della settima arte Il cacciatore (1978) di Michael Cimino. De Niro che porta nuovamente in scena gli incubi di chi ha combattuto nel Vietnam, ammettendo che un ruolo del genere lo aveva esaurito psicologicamente ed emotivamente. A prova di questo sappiamo che, durante la ripresa del salvataggio con l'elicottero, si ferisce abbastanza seriamente, infatti le urla e il furore contro gli stuntmen che controllavano il velivolo sono autentici. Ma a consolarlo è la presenza di Meryl Streep con la quale non avrà mai una relazione, ma che stimerà profondamente, ammettendo pubblicamente che la donna è destinata a diventare grandissima ad Hollywood. Profezia che si è avverata, peccato che per lui invece si riservi solo la candidatura all'Oscar come miglior attore protagonista. Si rifarà con Toro scatenato (1980) dell'amico Scorsese, dove De Niro vestirà i panni del pugile Jake La Motta, sostenendo (per prepararsi al ruolo) tre veri incontri di boxe a Brooklyn (vincendone due) e ingrassando di qualche abbondante chilo. Paranoico, furioso e sardonico, fu De Niro stesso a invitare il regista a leggere l'autobiografia del pugile italo-americano e a lavorare alla stesura della sceneggiatura con lui, passando ben 19 giorni segregati a St. Marteen, un'isola dei Caraibi. L'Oscar come miglior attore protagonista fu assicurato e così pure il Golden Globe nella stessa categoria.
Grandissimo amico di Joe Pesci e del defunto John Belushi, venne ridiretto da Scorsese in Re per una notte (1983), scegliendo poi un piccolo, grazioso ruolo in Brazil (1985), meraviglia audiovisiva dell'ex Monty PythonTerry Gilliam, dove sarà uno straordinario idraulico guerrigliero che ripara ciò che il Potere del Consumismo destina alla demolizione, anche se lui preferiva il ruolo di Jack, che però era già stato promesso a Michael Palin. Bertolucci non sarà l'unico italiano ad avere l'onore di lavorare con De Niro. Sergio Leone e lo splendido C'era una volta in America (1984) lo aspettano al varco con il superlativo personaggio del gangster Noodles. La lavorazione del film durò ben dieci anni e leggenda vuole che De Niro avesse fatto coniare una serie di medagliette per tutta la troupe con su scritto: "Complimenti, siete sopravvissuti alla lavorazione di C'era una volta in America".
Roland Joffé, Alan Parker, Neil Jordan, Martin Ritt e ancora De Palma - che gli offre la possibilità di urlare la famosa frase «Sei tutto chiacchiere e distintivo!» come volto del prepotente Al Capone in Gli intoccabili (1987) - sono i registi con i quali cavalca l'onda alla fine degli anni Ottanta, rifiutando però la parte di Gesù in L'ultima tentazione di Cristo (1988) e quella del pizzaiolo Sal in Fa' la cosa giusta (1989).
Il produttore De Niro
Fondatore della TriBeCa Productions, finanzierà pellicole come Cuore di tuono (1992), About a boy - Un ragazzo (2002), Stage Beauty (2004) e Rent (2005), passando di donna in donna per tutti gli anni Novanta, da Uma Thurman alla modella Naomi Campbell, fino all'attrice Ashley Judd. Una nuova nomination all'Oscar come miglior attore protagonista lo aspetta nel film drammatico di Penny Marshall Risvegli (1990), nel ruolo di un sopravvissuto a una grave epidemia di encefalite letargica; poi, dopo aver rifiutato il ruolo di Dick Tracy nell'omonimo film di Warren Beatty, recita in quello che è considerato il suo miglior film, Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese, nel ruolo di un gangster. Violento e ipercinico, un ritratto del genere lo porta a interpretare il criminale da denti sudici (ottenne dal produttore 5.000 dollari per sporcarsi la dentatura e altri 20.000 per rimetterla a posto terminate le riprese) di Cape Fear - Il promontorio della paura (1991), sempre per Scorsese. Il fascino del Male seduce l'Academy che lo fa entrare nella rosa dei candidati all'Oscar per la migliore performance da protagonista maschile, ma che però non lo fa vincere.
E dopo Fuoco assassino (1991) e Voglia di ricominciare (1993) è consacrato con il Leone d'Oro alla Carriera dal Festival di Venezia, spinta che lo porterà dietro la macchina da presa con il drammatico Bronx (1993), buona narrazione di un cammino mafioso con gli occhi di un ragazzino, e a progettare un film su Enzo Ferrari per la regia di Michael Mann, che però non troverà mai luce. La sua filmografia si arricchirà poi di vari generi come l'horror (Frankenstein di Mary Shelley), il poliziesco (Heat - La sfida), il drammatico (Casinò, The Fan - Il mito, Sleepers, Paradiso Perduto), la commedia (Sesso & potere, Flawless - Senza difetti) e il thriller (Ronin). Mentre la vita privata procede - dopo la nascita di due gemelli (Aaron Kendrick e Julian Henry De Niro) da parte della sua ragazza, l'attrice Toukie Smith che fece l'inseminazione artificiale - con il matrimonio con l'assistente di volo Grace Hightower, madre di Elliot De Niro e sua attuale compagna di vita, nonostante qualche profonda crisi - causata da un'indagine del 1998 della polizia francese che trovò le sue impronte digitali impresse sull'agendina di una prostituta e dopo che fu provata la sua estraneità nel coinvolgimento dell'inchiesta, De Niro restituì la Legion d'Onore ottenuta qualche anno prima, giurando di non tornare mai più in Francia).
Passa da Tarantino (Jackie Brown, 1997) a essere il testimonial per la Beghelli, dal rifiuto per il ruolo di Tony D'Amato in Ogni maledetta domenica (1999) al ruolo dell'ex spia maniacale e ossessionante che nessuno vorrebbe mai avere come suocero in Ti presento i miei (2000) e nel sequel Mi presenti i tuoi? (2004). Dopo la diagnosi di un cancro alla prostata, De Niro continuerà ugualmente a recitare, cercando di combattere come meglio può contro questa malattia. Nel 2004 lo vediamo fra i doppiatori di Shark Tale, mentre nei due anni successivi rifiuta due ruoli grandiosi: quello di Willy Wonka in Charlie e la fabbrica di cioccolato (2005) e quello di Frank Costello in The Departed - Il bene e il male (2006), preferendo dirigere Matt Damon e Angelina Jolie in L'ombra del potere - The Good Shepherd (2006) e recitare il ruolo di Capitan Shakespeare nel fantasy Stardust (2007) con Michelle Pfeiffer, Peter O'Toole e Rupert Everett, preparandosi al ruolo di produttore nel film Disastro a Hollywood (2008) con Bruce Willis e Sean Penn. Contribuisce con la sua partecipazione a I Knew It Was You (2009), documentario che ripercorre la vita della meteora cinematografica John Cazale. Continua col celebre ruolo del terribile suocero di Ben Stiller in Vi presento i nostri e sempre nel 2010 torna protagonista: lo fa nella commedia sentimentale Stanno tutti bene di Kirk Jones, remake dell'omonimo lungometraggio di Giuseppe Tornatore, dove interpreta Frank Goode, padre burbero che si accorge di aver dedicato poco tempo ai figli e perciò parte per riunirsi con loro. Immancabile la sua presenza in una grande produzione come Machete (2010) di Robert Rodriguez e, da buon 'Little Italyano' in Manuale d'Amore 3, di Veronesi. Nel 2011 è nel cast dell'adrenalinico Limitless, accanto a Bradley Cooper e nel corale film natalizio Capodanno a New York, diretto da Garry Marshall, oltre che protagonista di Killer Elite dell'esordiente Gary McKendry.
Tra i film del 2012 da segnalare sono la commedia amara di David O. Russell Silver Linings Playbook, The Big Wedding di Justin Zackham, e il nuovo film Red Lights di Rodrigo Cortés. Nel 2013 è protagonista del thriller di Luc Besson Cose nostre - Malavita e della commedia di Jon Turteltaub Last Vegas. Inoltre è al fianco di Sylvester Stallone ne Il grande match di Peter Segal. Nel 2016 è il protagonista dell'esilarante commedia Nonno scatenato, al fianco di Zac Efron.
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Joker
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Genere Azione, - USA 2019. Uscita 03/10/2019. |
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Piace alla gente, e non solo, Cose nostre - Malavita: il titolo originale sarebbe The Family, ma noi dobbiamo sempre metterci qualcosa in più di "mercato". Il regista è il francese/americano (per stile) Luc Besson, uno che sa girare. Ma i nomi più interessanti sono quelli di Robert De Niro, protagonista, e di Martin Scorsese, produttore. I due devono essersi divertiti un mondo a impegnarsi in questo mafia movie, doppio, triplo richiamo alla loro vicenda personale. Non si può infatti non partire da un classico di Scorsese, Quei bravi ragazzi, storia di tre mafiosi. Al centro del racconto c'era il più giovane Henry Hill, cui dava corpo e volto Ray Liotta - gli altri due erano De Niro e Pesci- che dopo una discreta carriera, decideva di collaborare con la giustizia e raccontava tutto della "famiglia". Naturalmente era costretto a sparire, ad affidarsi al cosiddetto "programma protezione testimoni". Henry concludeva il suo lungo racconto rivelando un'irresistibile nostalgia di quando era un "bravo ragazzo", cioè qualcuno, mentre adesso "non sono più nessuno".
De Niro riprende, di fatto, quel personaggio, gli anni sono passati, ma i padrini traditi non dimenticano, mai. E così di Paese in Paese, di città in città, Giovanni Manzoni, De Niro appunto, arriva in una cittadina della Normandia. Ma il carattere è il carattere, la storia è la storia, e il mafioso continua ad esserlo. Così come i componenti della famiglia, il maschietto quattordicenne, che si sente già in ritardo rispetto al padre, assassino a tredici anni, e la ragazza diciassettenne, una "dark" romantica ma violentissima. E poi la madre, Michelle Pfeiffer, perfettamente omologa per carattere famigliare: sente il proprietario di un supermercato parlar male degli americani e ... il supermercato brucia. Besson usa toni estremi, ironici, surreali, divertenti. Lo scontro finale è in perfetto stile tarantiniano. Un eccesso talmente eccesso che finisce per annullarsi, divertendo, appunto. Giovanni/Robert trova una vecchia macchina da scrivere e comincia a scrivere la sua storia. Roba pericolosa, per sé e per tutti. Ma regista, produttore e attore, portano il loro divertimento sul filo sottile e intelligente della citazione, che è proprio Quei bravi ragazzi. La comunità che ospita la famiglia è affascinata dallo scrittore americano, lo invita a un cineforum dove viene proposto quel film di Scorsese con De Niro. Doppio, triplo gioco appunto. E Manzoni/De Niro, che conosce l'argomento come nessun altro, incanta tutti. Ovazione. Per la disperazione del loro angelo custode, l'agente FBI Tommy Lee Jones, altro eroe veterano, parente, forse con minore mitologia ma stretto, dell'eroe eponimo protagonista. Gente della vecchia guardia dunque. Come lei, la Pfeiffer, cinquantacinquenne moderatamente disturbata dal dimostrarlo. Con quelle sue naturali, affascinanti piccole rughe sotto gli occhi: lontana dalle nostre attrici, o conduttrici, che non ti fanno capire se hanno quindici anni oppure settanta.
E poi lui, De Niro, che ormai deve, ad ogni film, vedersela con la propria leggenda a e il proprio monumento. Ha settant'anni, portati come... un settantenne. Non è ricorso a nessun chirurgo e se ne compiace, con quei primi piani sul volto che richiamano la sua lunga storia, e qualcosa di più dell'America. Quell'effige, quella faccia di roccia, potrebbe figurare fra quelle di Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln, sul monte Rushmore, magari fra Roosevelt e Lincoln, là dove l'immane scultura fa una curva. Quelli, grandi presidenti, questo, grande modello della vita e, perché no, della cultura americana. Nel film guardi Giovanni Manzoni, ma non riesci a non vederci De Niro. Il quale ha un'età in cui, solitamente, si rallenta o si cambia, per tutte le naturali ragioni, storiche, fisiche , estetiche. Invece "Giovanni" possiede l'energia anzi la violenza dei tempi belli. Oltre alla maggiore autorevolezza. È corretto dire che Robert vale Giovanni, se è vero che nel suo lavoro non ha affatto rallentato, anzi ha accelerato, con ..violenza.
Un dato assoluto, persino aritmetico: De Niro nel 2013 ha fatto 6 film (per i supercinefili: The big Wedding, Killing Season, Cose nostre - Malavita, Last Vegas, American Hustle, Grudge Match). Credo sia il suo record personale, e forse non solo suo, a questi livelli, da protagonista. Ed è automatico il richiamo a un altro eroe dello schermo e oltre lo schermo, Al Pacino, che nel recente Uomini di parola, faceva un personaggio simile a quello di De Niro. Pacino-De Niro, promemoria di veterani di gran classe. Quasi eterni, per fortuna.
Quando eravamo re, o tassisti
È stato Re per una notte a ogni costo, nel tentativo di farsi un nome come comico, e ha percorso in lungo e largo le luride strade di New York vestendo gli abiti di un esaltato tassista-giustiziere. Se negli anni '70 e '80 c'era un ruolo in circolazione capace di definire zone d'ombra di piccoli grandi uomini di origini italoamericane – che fossero padrini della mafia, poliziotti, ladri, musicisti o pugili – c'era anche un attore pronto a incarnarlo: Robert De Niro. L'altra faccia dell'"artigiano di maschere", però, è quella che ha messo a punto negli ultimi anni frequentando la leggerezza della commedia, talvolta esilarante, talvolta amara come la vita. Dopo aver dato voce a uno squalo gangster padre inconsapevole di un figlio vegetariano ed essersi calato nella parte di un suocero con la mania dello spionaggio familiare, l'attore deve aver scoperto le gioie (e i dolori) dell'essere padre sul grande schermo. Così, quando si è trattato di dover trovare l'erede americano del ruolo che fu di Marcello Mastroianni nel film di Giuseppe Tornatore, De Niro si è rivelato la scelta più ovvia.
Padri (troppo) esigenti
Per Robert De Niro, padre di cinque, non è stato difficile identificarsi con la storia e il personaggio di Frank Goode. “Posso capire facilmente quello che Frank vive e prova per i figli ed e` questo che ha reso il film cosi` interessante ai miei occhi”. Adattato alla vastità della terra americana, lo Stanno tutti bene di Tornatore perde la sua italianità lungo le highway del Nuovo mondo, nel momento in cui il padre di De Niro prova a confrontarsi per la prima volta col mondo esterno, la modernità e i segreti dei figli sparsi (e spersi) per il continente.
Padri (iper)protettivi
Commedia dalle sfumature nere è quella che da dieci anni vede Robert De Niro muoversi con disinvoltura negli abiti del paranoico padre di una brava ragazza della est coast. Nella saga tutta da ridere della famiglia Byrnes/Fotter, di cui il terzo capitolo è atteso nelle sale il prossimo gennaio, De Niro interpreta un ex agente della CIA deciso da prima a mandare a monte la relazione della figlia con il Gaylor Fotter di Ben Stiller e in seguito il matrimonio ricorrendo a vecchi trucchi del mestiere e a diabolici marchingegni spionistici.
Sarà un caso che, dopo un (non)giovane di nome Dante (Francesco Mandelli) e un disc-jockey interpretato da Claudio Bisio, il narratore che sfoglierà per noi i nuovi capitoli del compendio amoroso di Giovanni Veronesi sia un tassista chiamato Cupido (Emanuele Propizio)? Forse no, considerando che il protagonista di Manuale d'amore 3 è il taxi driver per eccellenza della storia del cinema, l'uomo più emulato da varie generazioni di attori posti davanti a uno specchio in cerca di uno sguardo paranoico ed esaltato. C'è voluta una conferenza stampa allestita durante una pausa di lavorazione per vedere e credere ciò che era stato già da tempo annunciato: Robert De Niro protagonista dell'ultima delle ricette sentimentali di Giovanni Veronesi e Aurelio De Laurentiis. I quali, dopo le "appendici" sugli italiani all'estero (Italians) e sul gap generazionale (Genitori & Figli), tornano così alla manualistica più rodata (35 milioni di euro gli incassi complessivi dei primi due film) con un terzo tomo che si porta dietro molti degli attori delle puntate precedenti (Verdone, Scamarcio, Bellucci) più qualche nuova entrata (Michele Placido, Donatella Finocchiaro, Laura Chiatti e Valeria Solarino), tutti uniti a sostenere e controbilanciare la mole del mostro sacro newyorkese.
Dopo il ricco proprietario terriero di Novecento di Bertolucci e il gangster Noodles di C'era una volta in America di Sergio Leone, De Niro rientra in Italia dopo più di venticinque anni per assecondare il genere che da un po' di tempo gli risulta più congeniale (sta per uscire in America la terza parte di Ti presento i miei) e per interpretare (in italiano!) un maturo professore di storia dell'arte destinato a innamorarsi delle forme giunoniche di Monica Bellucci. L'episodio in questione si intitola "Oltre" (in merito a quella fase del percorso amoroso che segue "Giovinezza" e "Maturità", gli altri due episodi previsti del film), ma è davvero difficile anche per gli altri attori presenti andare "oltre" e parlare liberamente, al di là della presenza di De Niro al loro fianco. Così che anche le loro parole si concentrano sugli aneddoti riguardanti l'attore italo-americano. Il quale, a sua volta, ricambia la stima con molta umiltà e qualche lacrima, a dispetto di un'atmosfera a dir poco festante.
Come è stato coinvolto in questo progetto?
Robert De Niro: Avevo sentito dire che Giovanni Veronesi era interessato a farmi interpretare un ruolo in un suo nuovo film. Per convincermi, mi ha mandato i primi due Manuali. Li ho visti e mi sono piaciuti molto, così come mi è piaciuta l'idea del ruolo scritto per me. Così, mi ha mandato la storia e quando ci siamo incontrati in Sicilia l'estate scorsa, mi sono reso conto che era una persona intelligente e ho deciso di accettare il ruolo.
È stato molto difficile recitare in italiano?
Robert De Niro: Un po' d'italiano lo parlo in realtà, ma la qualità dell'italiano richiesto dalle mie battute era davvero difficile e sofisticato, così ho dovuto imparare a memoria la giusta pronuncia. Non che sia stato difficilissimo, ma devo anche ammettere che non è stato sempre semplice, mi auguro solo di aver recitato con un italiano sufficientemente buono da non dover essere doppiato. Molto dell'umorismo sta anche nel fatto che il mio personaggio deve parlare un accento un po' strano.
Cos'è per lei l'amore?
Robert De Niro: L'amore è sempre lo stesso, a ogni età, ed è sempre meraviglioso: solo che, invecchiando, si è più consapevoli del fatto che tutte le cose hanno una fine. Giovanni Veronesi ha scritto il mio episodio con tanta dolcezza, dando al personaggio una seconda possibilità. D'altronde l'amore è qualcosa di fantastico. Di dolce e di fantastico.
Cosa la attira così tanto nella commedia contemporanea?
Robert De Niro: Le commedie generalmente hanno meno restrizioni. Nella commedia puoi provare su ogni cosa, puoi osare di più. Puoi essere molto più spregiudicato rispetto a un dramma. Mi piace fare commedie e devo dire che recitare in una commedia italiana è stato ancor più piacevole, grazie a una grande tradizione che gli permette in modo unico di coniugare comico e drammatico.
Le tre fasi evolutive dell'amore: Oltre
Giovanni Veronesi: Con "Oltre", volevo parlare di quella fase dell'uomo dopo la maturità, quella fase molto delicata e molto dolce, in cui non si chiede più molto dalla vita. L'idea vincente dell'episodio con Bob è stata quella di affiancargli Michele Placido e Monica Bellucci: assieme li ho resi davvero un trio esplosivo! Standogli vicino, ho imparato molto cercando di osservare la sua dedizione: all'interno di un piccolo film italiano con attori a lui sconosciuti, lui dà il massimo e passa anche ore a imparare una singola battuta. Diciamo che sono andato a scuola e ho imparato abbastanza.
Monica Bellucci: Finalmente un ruolo femminile così bello e due grandi accompagnatori. Inizialmente ero molto stupita dall'idea di lavorare con questi attori: non sapevo cosa poteva venirne fuori. Inoltre eravamo tutti in qualche modo intimiditi dal De Niro star. Fortunatamente siamo presto riusciti a conoscere anche l'uomo e ce ne siamo davvero tutti innamorati. Si tratta davvero di una bellissima esperienza di cinema.
Michele Placido: Credo che siamo a un'età in cui si comunica molto di più fra colleghi parlando della vita e dei nostri piaceri che del nostro lavoro. A casa De Laurentiis, Bob ha rotto il ghiaccio subito facendosi una foto con tutti quanti. Poi abbiamo passato serate intere a dissertare sulla qualità delle mozzarelle del Sud, si è creata una grande atmosfera amichevole.
Giovinezza
Valeria Solarino: La giovinezza è quella fase in cui non si è ancora presa una direzione, quando ci ferma a pensare e si cerca di crescere oppure si cambia improvvisamente percorso di vita per una svolta esistenziale. Per quanto riguarda me stessa, sento di essermi arricchita molto in questi ultimi anni e anche grazie a questa esperienza.
Riccardo Scamarcio: Interpreto un giovane avvocato, un uomo che si trova in quella fase della vita in cui occorre fare scelte importanti, ma poi per una cosa di lavoro vengo mandato in un paesino di provincia della Toscana. A Castiglion della Pescaia vivrò grazie a una sbandata per il personaggio di Laura Chiatti un ritorno adolescenziale che metterà in crisi le mie prospettive sulla stabilità.
Laura Chiatti: Sono davvero molto onorata di partecipare a questo film, fin dalla prima volta in cui ho conosciuto De Niro non ho avuto il coraggio di dire niente. Tuttora credo di dover ancora realizzare. Il mio personaggio è una ragazza energica e brillante, con un carattere forte. Sono tuttavia il seme della discordia, quello che creerà problemi alla coppia Scamarcio-Solarino.
Maturità
Carlo Verdone: Ho preso parte a Manuale 3 un po' in extremis. Dovevo cominciare a girare il mio nuovo film in questo periodo ma mi sono reso conto che non sarei riuscito a finire di scriverlo per tempo. Così, di comune accordo col produttore De Laurentiis, mi sono preso un po' di tempo e ho trovato qualche spazio libero che ho cercato subito di impiegare chiedendo a Giovanni di poter occupare con una partecipazione al suo film. Mi ha risposto subito sì e ha creato un episodio alla Attrazione fatale con Donatella Finocchiaro, tanto bella e simpatica, quanto pericolosa e compulsiva. Lavorando a stretto contatto con De Niro, abbiamo avuto il privilegio di incontrare un grandissimo attore, una grandissima persona dotata di signorilità e di grande umiltà. Quando l'ho conosciuto avrei voluto parlargli per ore di Taxi Driver o Il cacciatore e invece siamo finiti a mostrarci le foto delle vacanze con la famiglia sul cellulare! Abbiamo creato un legame attraverso il telefonino.
Donatella Finocchiaro: Nell'episodio interpreto una donna affetta da una sindrome bipolare, una tendenza ossessivo-compulsiva. La sua ossessione per Carlo diventa follia vera, finché non divento per lui una minaccia seria. Ma non abbiamo voluto banalmente ridicolizzare una malattia seria, vedrete che l'episodio ha anche una sua complessità.
A ltman lo aveva già fatto nel 1992 portando sul grande schermo un film sarcastico e amaro sui retroscena di Hollywood. È inevitabile pensare a I protagonisti seguendo la vita dietro le quinte di Ben (Robert De Niro), un famoso produttore alle prese con mille complicazioni - private e professionali - che sa di avere le ore contate in termini di potere. Il film che potrebbe riportarlo in vetta tra i nomi che contano non ha incontrato il favore del pubblico alla proiezione di prova; a salvarsi, nonostante la presenza di Sean Penn come protagonista, è forse unicamente la colonna sonora. Così le successive due settimane d'inferno di Ben sono scandite dalla musica Marcelo Zarvos (realizzata per Fiercely) che accompagna lo spettatore in un viaggio in prima fila lungo i tortuosi viali di Hollywoodland. Basato sul libro "What Just Happened? Bitter Hollywood Tales from the Front Line" (autobiografia del produttore Art Linson - Gli intoccabili, Fight Club, Black Dahlia - che ha firmato anche la sceneggiatura), il film diretto da Barry Levinson, interpretato da Robert De Niro e da una schiera di star riporta alla mente anche uno scambio di battute tra Joe Gillis e Norma Desmond in Viale del tramonto. "Un tempo lei era una grande stella del cinema!" "Io sono ancora grande, è il cinema che è diventato piccolo!". Ed è curioso come il finale di Disastro a Hollywood si congiunga idealmente all'ultima battuta della stella del cinema muto quando, divina, esclama: "Mr. De Mille, sono pronta per il primo piano".
De Niro e Pacino di nuovo insieme in Sfida senza regole. La notizia assume i contorni di un evento. La grande coppia. Va detto che il cinema ha spesso proposto grandi coppie, ma "questi due" sembra abbiano regole diverse, che il loro peso specifico sia tale da oltrepassare la linea del cinema. Dicendo "grande coppia" alludo a talenti omologhi, anche all'anagrafe. Un vecchio e un giovane insieme funzionano, sono complementari, non creano antagonismo, un esempio per tutti: Redford e Pitt in Spy Game. Nelle varie epoche il cinema ha messo insieme Cooper-March (Partita a quattro); Wayne–Stewart (Liberty Valance); Lancaster-Douglas (Sfida all'O.K.Corrall); Brando-Clift (I giovani leoni); Newman – McQueen (Inferno di cristallo) e, salendo Cruise-Pitt (Intervista col vampiro). Due numeri uno assoluti attuali, Clooney e Pitt, li vediamo spesso insieme, eppure non si tratta, e non si trattava, di evento, ma semplicemente di combinazione eccezionale, di cast, di cinema, solo di cinema. Leggi nei titoli De Niro e Pacino insieme ed ecco che la coppia diventa mistica, diventa storia e cultura, come se il capo della religione anglicana e quello cattolico si unissero per una funzione. Robert e Al: perché?<
C'erano una volta in America due ragazzi di strada e di "metodo". Gli anni Settanta del "meraviglioso" spielberghiano trovarono nei loro volti e nei loro registi (Schatzberg, Coppola, De Palma, Scorsese, Cimino, Mann, Leone, Lumet) un'altra America. Inquieti e lividi, cupi e vertiginosi Robert De Niro e Al Pacino divennero gli attori simbolo della Hollywood mean streets, dimostrando di sapere gestire carriere sfaccettate e depistando qualsiasi etichetta di ruolo. Bravi ragazzi (di strada), padrini, poliziotti, criminali, balordi, taxi-driver, demoni, gangster, mafiosi e qualche volta "innamorati" o in "profumo di donna" sono l'immagine ribaltata di quel mito americano che aiutarono a smascherare attraverso filmografie costellate da episodi di rara qualità. Tredici anni dopo The Heat – La sfida, i fabulous two tornano sulle strade della Little Italy newyorkese per interpretare due poliziotti "fuori controllo" che agiscono sul confine della legge e si pongono al di sopra della legge. Nella Sfida senza regole di Jon Avnet, De Niro e Pacino imbastiscono la realtà delle apparenze e nascondono la verità dietro un sole che non albeggia ma tramonta e dentro una notte che immancabilmente scende.
Detective pluridecorati, Turk e Rooster sono a un passo dalla pensione e dal serial killer che scrive sonetti per i suoi cadaveri. Sotto la fredda scorza dell'impassibilità e della mancanza di scrupolo, De Niro e Pacino sono antieroi furenti e arcani, personaggi in autoesilio e sempre fuori posto per superare il conformismo dei loro superiori e dei burocrati. Meglio il mimetismo camaleontico di De Niro o il lasciare intendere senza esibire di Pacino? Domanda inutile. Basta guardarli mentre si osservano e si specchiano l'uno negli occhi dell'altro, l'uno nella carriera dell'altro, ciascuno con le proprie ossessioni, paure, solitudini e contraddizioni, per capire che si sono (ri)trovati. Turk e Rooster non sono poliziotti ordinari, come non sono ordinari gli attori che li incarnano: tanto grandi da essersi sfiorati nel Padrino di Coppola, rincorsi nella sfida di Mann e rinchiusi nelle inquadrature senza regole di Avnet, entrambi con un "clan" di personaggi sulle spalle che guardano alla tragedia come ultimo approdo alla solitudine dell'individuo, del poliziotto, dell'attore. Dietro alle pistole, alle chiacchiere e ai distintivi resta il sorriso di Noodles nella fumeria d'oppio e quello di Carlito davanti alla promessa di una fuga da sogno (Escape to Paradise).
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